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Smart Working e pregiudizi: come andare oltre

Ormai non si parla altro che di Smart Working: giornali, trasmissioni televisive, blog, uffici; anche tra amici ci si divide tra chi è a favore e ne vede prevalentemente i lati positivi e chi non riesce a capirne l’utilità e vede solo gli svantaggi sia per gli imprenditori sia per i dipendenti.

I trend

Se guardiamo i trend di ricerca su Internet, possiamo renderci conto come effettivamente l’interesse per l’argomento in oggetto, negli ultimi mesi, abbia avuto una forte impennata soprattutto a seguito della pandemia che ha costretto molte aziende a ricorrere a questa modalità per evitare la chiusura forzata di tutte le attività produttive.

trend smartworking

Come si può evincere dal grafico, che evidenzia i trend di ricerca su Google della parola “Smart Working”, i picchi sono riscontrabili nel periodo primaverile del primo lockdown e successivamente in corrispondenza del secondo lockdown, forse più soft, che stiamo affrontando in questi giorni.

Ma sono i dati resi noti dell’Osservatorio sullo Swart Working del Politecnico di Milano a mostrare le concrete ripercussioni sul mondo del lavoro di questa innovativa, ma non del tutto nuova, modalità di lavoro.

In un anno si è passati da migliaia a milioni di smart worker in Italia.

Nel 2019 erano 570mila, in crescita del 20% rispetto ai 500mila del 2018 che a loro volta era aumentati del 60% rispetto al 2013. Tra le PMI la diffusione delle iniziative di Smart Working, sia con progetti strutturati sia con approcci informali, aveva raggiunto il 30%. Le motivazioni che muovevano questa scelta si fondavano principalmente sul miglioramento del benessere organizzativo e dei processi aziendali, mentre le difficoltà connesse all’applicazione di questo modello nelle PMI si riscontravano principalmente nella resistenza dei capi e nei loro pregiudizi sulla irrealizzabilità di tale modello nella loro realtà e sulla convinzione che le persone “da casa” siano meno controllate e quindi meno produttive.

Nel 2020, gli smartworkers sono stati 6,58 milioni, 10 volte in più del 2019; di questi il 58% appartenenti alle PMI. Nel periodo del lockdown primaverile, il 50% delle PMI non ha operato da remoto a causa dell’impreparazione tecnologica ed ancora una volta dei pregiudizi verso lo Smart Working da parte degli imprenditori. Infatti, alcune survey dimostrano come molti lavoratori, pur rientrando nelle mansioni teoricamente compatibili con lo smartworking, in realtà non lo hanno svolto.

I pregiudizi

Uno studio di Tito Boeri, economista ed ex presidente INPS, afferma come il 24% della forza lavoro nazionale ha il potenziale per essere impiegata in smart working.

Nonostante l’utilizzo su larga scala dello smart working, i pregiudizi hanno fatto fatica e faticano tuttora ad essere superati.

È soprattutto diffusa l’idea che il lavoro da casa non sia lavoro vero. Quante volte abbiamo sentito dire che senza l’indirizzo e il controllo diretto dei superiori i dipendenti non sono motivati e non svolgono bene il loro lavoro, o addirittura in tempo di lavoro si occupano dei propri impegni personali e familiari?

La libertà insita nel concetto di Smart Working non significa non lavorare perché non controllati ed indipendenti dal proprio manager o datore di lavoro, ma piuttosto significa autonomia sul come e quando lavorare e svolgere le proprie mansioni per raggiungere gli obiettivi, rispettando le scadenze prefissate con il proprio manager o datore di lavoro.

Un’autonomia fondata su fiducia condivisa e co-creata all’interno dell’organizzazione aziendale che stimola auto – motivazione, responsabilità e accountability nel lavoratore.

fiducia

Tutto ciò ha effetti benefici sia per il lavoratore sia per l’azienda. Il lavoratore ottimizza il proprio tempo lavorativo, riducendo al minimo gli spostamenti e lo stress collegato, migliora il suo grado di concentrazione e si dedica con maggiore impegno alle attività da svolgere, conciliando lavoro ed impegni personali. L’azienda guadagna in produttività, efficienza e spesso anche in una riduzione di costi. Lo Smart Working è una situazione win-win sia per il lavoratore sia per l’azienda.

Durante il lock-down, lo smart working è stato d’emergenza, una sorta di home working obbligato in cui sono mancati alcuni degli aspetti chiave fondamentali per il vero smart working: la volontarietà e l’autodeterminazione della scelta dei luoghi e dei tempi di lavoro.

Cos’è realmente lo Smart Working?

smart working gatto

In Italia, troviamo una definizione del concetto di Smart Working all’interno della Legge n.81/2017 che lo definisce “lavoro agile” e lo considera una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, decisa mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro, e caratterizzata dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi.

È interessante soffermarsi su come la parola “Lavoro Agile” sia erroneamente considerata una valida traduzione italiana della parola Smart Working. 

In realtà, definendo il lavoro agile si rischia di far riferimento esclusivamente al “modello Agile” (letto all’inglese). Questo modello si basa sul forte coinvolgimento delle risorse, sulla stretta collaborazione all’interno dei team, sulla velocità e reattività nell’affrontare i problemi e dare risposte, sulla sperimentazione continua e sullo sviluppo iterativo ed incrementale; possiamo certamente considerarlo un modo di pensare e di comportarsi per uno Smart Working di successo, ma non un sinonimo esaustivo del termine in questione.

Nel senso comune, un altro termine utilizzato erroneamente come sinonimo di Smart Working è telelavoro. Nel contratto di telelavoro, la postazione, diversa dall’ufficio, viene definita ed esplicitata nel contratto, cosi come l’orario di lavoro. Non è eccessivo affermare che il telelavoro in sostanza è una trasposizione del proprio lavoro a casa o in un altro luogo, quindi mansioni e compiti vengono svolti esattamente come sarebbero svolti in ufficio, dietro specifiche direttive del superiore.

Lo smart working, invece, non è solo lavorare in un luogo diverso dall’ufficio, ma è flessibilità e adattabilità, autonomia nell’organizzazione delle modalità di lavoro, degli orari, degli strumenti da usare… ciò che conta è svolgere il proprio lavoro e raggiungere i propri obiettivi, il come non conta.

flessibilità lavorativa 2

Per far questo occorre rivoluzionare il proprio punto di vista non solo sul modo di lavorare ma anche nel modo di gestire il lavoro… occorre cambiare mindset, sviluppare una cultura rivolta ai risultati, fondata su flessibilità, fiducia e sull’importanza del singolo come persona con peculiari esigenze e necessità e fondata anche su una coaching leadership carismatica e coinvolgente… occorre superare approcci tradizionali ed evolversi verso un nuovo approccio.

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