Great Resignation e Quiet Quitting: quando il lavoro è più che un semplice stipendio
Ultimamente si sente tanto parlare di Great Resignation… ma di cosa stiamo parlando?
Del boom di dimissioni che si sta verificando negli ultimi anni!
Uno studio McKinsey rivela che il 40% dei lavoratori a livello mondiale è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi mesi, mentre in Italia, secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, fra aprile e giugno 2021 quasi mezzo milione di persone ha dato le dimissioni… e secondo l’Osservatorio HR del Politecnico di Milano, nell’ultimo anno il tasso di turnover è aumentato per il 73% delle aziende italiane.
A guidare questo fenomeno ci sono le generazioni più “giovani”, in particolare la Generazione Z e i Millenials… proprio quelle generazioni che “non riescono ad adeguarsi ai nuovi posti di lavoro”, “che pretendono senza dare”, “che vogliono tutto e subito”… ma siamo proprio sicuri sia così?
Possiamo definire questa lettura del mondo del lavoro e dei lavoratori più “giovani” superficiale, comoda ma non sempre realistica.
Facendo un passo indietro e vedendo la situazione da una prospettiva più ampia, infatti, osserviamo come le aziende spesso faticano a comprendere le esigenze, i bisogni, i valori delle nuove generazioni e delle persone che vogliono portare a bordo, non riuscendo a creare ambienti funzionali a creare coinvolgimento, senso d’appartenenza, motivazione e responsabilizzazione.
Le nuove generazioni ricercano un senso di scopo e mirano a creare valore per la società attraverso il loro lavoro. Non solo, essendo molto più attenti al benessere fisico e mentale ricercano l’equilibrio tra vita lavorativa e professionale, abbracciando la flessibilità oraria e spaziale.
Anche le generazioni più “senior” stanno iniziando ad avvertire queste esigenze e bisogni, proprio perché la pandemia e il post-Covid hanno portato a rivalutare le priorità della vita e a ripensare il modo in cui si impiega il proprio tempo. La maggior parte del tempo della giornata viene impiegato sul luogo di lavoro… viene spontaneo chiedersi se valga la pena spendere giornate intere in ambienti che non soddisfano i propri bisogni e non sono allineati ai propri valori.
E, ovviamente, quando le organizzazioni non considerano questi elementi chiave come parte della loro cultura, i talenti non si sentono rappresentati, ingaggiati e motivati e si allontanano alla ricerca di ambienti lavorativi più in linea con i loro valori e le loro esigenze.
Ma non solo, le persone che rimangono in azienda si limiteranno a fare “il tanto che basta per non perdere il posto”, “il minimo indispensabile”.
Parliamo in questo caso di un altro fenomeno dell’ultimo periodo: il “quiet quitting”, letteralmente “dimissioni silenziose”. Questo termine viene utilizzato proprio per indicare l’impegnarsi al minimo; atteggiamento che, come si può immaginare, impatta negativamente sul business aziendale sia in termini di performance e costi economici sia in termini di clima aziendale e relazioni interne.
Diventa una sfida quotidiana per le organizzazioni, quindi, trattenere i talenti, motivarli al massimo e al contempo attirarne di nuovi. Per questo è importante che le aziende prendano consapevolezza di questi nuovi fenomeni e capiscano perché le persone abbandonano le loro realtà o ci rimangono “tanto per non perdere il posto di lavoro”, così da individuare azioni virtuose e concrete da mettere in campo!
Come?
Imprenditori e aziende devono, in primis, farsi guidare dai 4 bisogni di tutti gli esseri umani, e quindi anche dei dipendenti:
1.Essere ascoltati e inclusi nei processi e nei risultati dell’azienda;
2.Essere apprezzati, riconosciuti e ricompensati per il contributo personale al successo dell’azienda;
3.Provare appartenenza, sentendosi parte di qualcosa di eccezionale, e fiducia, grazie allo sviluppo di relazioni significative;
4.Fare la differenza, condividendo una visione e uno scopo che unici grazie al loro lavoro
In secondo luogo, ascoltare le persone e farsi le domande giuste!
Ecco qualche esempio:
• Quanto è forte e condivisa la cultura aziendale: vision, mission, valori, senso di appartenenza, norme e metodo…?
• Quanto i leader sono in grado di motivare e ispirare i loro team e guidarli con passione?
• Quanto l’assegnazione dei ruoli rispetta le competenze e le aspettative delle persone?
• Quanto si investe nello sviluppo personale e professionale delle persone?
• Quanto si pianificano opportunità di carriera?
• Quanto i carichi e i ritmi di lavoro sono allineati all’organico e adeguati al benessere psico-fisico dei lavoratori?
• Quanto gli stipendi sono in linea con le mansioni e le competenze?
Certo rispondere a queste domande non è facile e spesso si evita di porsele per non affrontare la realtà e non doversi imporre di cambiare.
Ma le risposte a queste domande sono quelle che guidano nel creare politiche aziendali ed interventi mirati atti migliorare non solo il clima aziendale ma anche il funzionamento stesso dell’azienda… portando benefici alle persone e all’economia dell’organizzazione.
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